Un giorno è professionista di mountain bike. Un altro surfista e free skier. Un altro ancora paracadutista e speed rider. Ogni tanto, come lui stesso dice, è un po’ di tutto. Se gli chiedi qual è la sua casa risponde che è “il mondo”. La sua vita ruota intorno a 3 elementi essenziali: sport, viaggi e natura. Ha un tono di voce che emana calma ed equilibrio. Merito, forse, del suo appuntamento fisso con la meditazione. Il suo sguardo sembra essere alla costante caccia di emozioni. Vedendolo sui social si potrebbe pensare di lui come ad un ragazzo fuori dagli schemi. In effetti lo è, se consideriamo che si spinge sempre oltre i limiti dell’estremo. Ma Nick Pescetto, nonostante i suoi oltre 300mila followers, è un personaggio dalla purezza e umiltà invidiabili. Iniziatore di quella che è la content creation legata ai social media, oggi viaggia in giro per il mondo lavorando sulla creazione di contenuti digitali, produzioni video e fotografie sullo stile di vita. Ma dietro a quel profilo Instagram ho scoperto la mente di un ragazzo che, come tutti, vive tra sogni, ambizioni, paure e consapevolezze. Non si è vergognato di raccontarmele nella sua casa mobile, il Van. Cosa ho capito chiacchierando con Nick in Portogallo? Che forse è sempre stato destinato a vivere in viaggio.
Dal Brasile all’Italia
Nato a Rio de Janeiro da papà ligure e mamma brasiliana, Nick all’età di 5 anni si trasferisce in Italia, Genova, insieme alla famiglia. È a 20 che inizia la sua avventura in giro per il mondo: prima a Barcellona per l’università, poi in Canada per lavorare come marketing researcher. “Il mio livello di produttività in ufficio era basso, ne sentivo proprio la pesantezza, così dopo 3 mesi mi sono fatto coraggio, ho detto al mio manager che mi licenziavo per inseguire il mio sogno di diventare un professionista di mountain bike”. Il concetto di “viaggio” nella vita di Nick non nasce per scelta, ma per necessità. “Tutti parlano di viaggi come ad un successo al quale bisogna ambire, ma per me erano più una priorità: mio papà aveva un’agenzia di viaggi a Rio, ci spostavamo spesso dall’Italia, anche perché organizzava viaggi in Amazzonia per vivere a stretto contatto con gli indigeni”. Sono proprio i genitori di Nick che lo indottrinano a una vita in movimento. “Mio padre mi diceva sempre che gli ultimi mille euro sul conto li avrebbe investiti in un volo ed effettivamente ironia della sorte ha voluto che finisse la sua vita in Italia e non in Brasile per curarsi da una malattia”.
Una visione da sognatore
Con una visione da sognatore, ma nessun piano delineato, dopo aver capito che l’ufficio non faceva al caso suo, Nick inizia a camminare nel mondo, incontrando lungo la strada non pochi ostacoli. Il primo a Bali: “Dovevo andare in nuova Zelanda per un progetto di bici e mi sono ritrovato tra le mani il passaporto impregnato d’olio: ero convinto che mi avrebbero fatto un permesso per partire, invece è stato un’odissea perché ho speso tutti i miei soldi tra hotel, su e giù dall’aeroporto di Jakarta nella speranza di riaverlo nuovo”. Da quell’imprevisto, non calcolato, realizza cosa vuole fare: focalizzarsi al 100% sul film making e sulla creazione di contenuti. Ed è proprio l’Indonesia ad imporsi nella vita di Nick come un viaggio introspettivo. “Non voglio filosofizzare troppo ma in questa terra mi sono successe cose molto forti a livello di attrazione: era un periodo in cui avevo toccato il fondo e lì ho proprio visto che bisogna stare attenti a quello che diciamo e a dove mettiamo l’energia, perché tutto torna sia che innaffiamo il seme della positività sia che innaffiamo quello della negatività”. È invece in Guatemala che si trova faccia a faccia con la sua paura più grande: i ragni. “Nella mia stanza ce n’era uno gigante vicino alla porta e speravo solo non mi entrasse in bocca mentre dormivo. Ho deciso di affrontarlo, ma appena gli ho toccato la zampa mi ha stretto il dito e se n’è andato. In quel momento ho iniziato ad imprecare in spagnolo e ancora oggi che ci ripenso mi chiedo se l’abbia fatto per mordermi oppure per darmi un abbraccio, io penso più la seconda”. Se è vero che la voglia di viaggiare sta scritta in un gene, il DRD4-7R, Nick ne è senza dubbio l’esempio lampante: sempre pronto a partire per una nuova destinazione. “Sono appena tornato dal Marocco, ma sento una chiamata forte dalla Mauritania: un Paese che mi hanno detto essere il meno turistico al mondo e che ha avuto forti tensioni, povertà agli estremi. Secondo me lì c’è ancora molta purezza ed è quello che sto cercando io, confrontarmi con persone che non sono ancora state influenzate dal capitalismo, dalla globalizzazione e che vivono con poco”.
La passione per la fotografia
Osservando, facendo attenzione ai dettagli e dando sfogo alla creatività: è così che Nick ha imparato a scattare e filmare. “Ho visto che internet stava prendendo piede ed era un modo per connettersi con le persone, così nel 2006 ho pubblicato il mio primo video su YouTube, creato con una telecamera che mio padre aveva vinto con i punti del latte”. Nonostante il successo di quel primo contenuto e la curiosità verso il potenziale dei Social si convince di non volerne fare un lavoro. “A suo tempo per me fotografo e videomaker erano due figure noiosissime, me le immaginavo andare in giro con zaini pesantissimi vestiti da Safari e mi faceva troppo strano”. Così, in compagnia di una GoPro, inizia a specializzarsi nella creazione di contenuti in movimento. Ma quel suo talento innato si fa così irrefrenabile da portarlo ad essere riconosciuto oggi come il paladino della content creation, con una community di migliaia di persone che seguono i suoi corsi online, primo tra tutti il GoPro Masters. Come fa a trasmettere così tanto con una lente così piccola? Una sola parola, ma non un cliché: autenticità. “Se siamo davvero onesti con noi stessi siamo in grado di capire quanto le nostre azioni vengono limitate dalla paura del giudizio altrui, dalla voglia di impressionare qualcuno o dalla paura del fallimento, tutti preconcetti che ci influenzano in una maniera pazzesca”. Ecco perché Nick, a chi vuole intraprendere questo percorso creativo, dice di lavorare su sé stessi, ancora prima di concentrarsi su tecnica, attrezzatura ed editing. Perché non esiste il contenuto giusto o sbagliato, ma solo il “capire esattamente in che punto della vita siete: quali sono le vostre paure e soprattutto quanto l’ego è coinvolto in questo meccanismo mentale di creazione e di idee”.
Il van? Non una moda, ma uno stile di vita
Se c’è una cosa che ho capito di Nick è che lui davvero si sente a casa ovunque. “Due anni fa ho caricato la mia vita sul Van: on the road sono molto più creativo e ricevo gli stimoli necessari per lavorare in maniera pura, mentre le persone con cui magari non sono allineato rischiano solo di offuscare la mia visione”. Il mondo fuori, lui dentro, in uno spazio di pochi metri quadrati, con poche cose, ma essenziali: tavole da surf, bici, libri sulla crescita personale, fotocamere e videocamere. Ma la van life non è come in tanti la dipingono: ha i suoi limiti e le sue difficoltà. “Devi adattarti molto, quindi se non senti davvero questo stile di vita, se non sei preparato ad accettare e a subire certi cambiamenti, non vai avanti più di tanto”. E poi è facile fuggire quando ci si sente scomodi in una situazione. “E una grande pratica spirituale in cui ti ritrovi molto da solo e a un certo punto realizzi che andare in giro senza tregua non ti permette di ascoltarti”. Perché vivere in Van, in fondo, significa non essere radicati in nessun posto. Significa sentirsi schiavi della libertà.