Zero, zero uno è la biomassa mondiale rappresentata dall’essere umano sulla Terra, ma è anche il nome di un piatto ispirato all’essenzialità della natura e al San Pietrino romano abbandonato. A firmarlo il celebre Chef 3 stelle Michelin Heinzbeck, oggi alla guida del prestigioso ristorante La Pergola Rome Cavalieri. Un genio innovativo che ha scelto di approcciarsi alla cucina italiana rifacendosi ad un concetto chiaro: “siamo ciò che mangiamo”. Da bambino sognava di fare il pittore, ma il destino ha scelto per lui il mondo dell’alta ristorazione. Ed eccolo viaggiare tra le cucine più importanti del mondo, prima a Berlino, poi a Monaco, in Spagna, in Inghilterra, a Dubai e in Portogallo, fino ad arrivare nel nostro Bel Paese, più precisamente a Roma, ove risiede il suo “tempio enogastronomico”. Qui, unendo tecnica, rigore, perseveranza e palato ormai italico, lo Chef ha dato vita ad una cucina laziale fuori dagli schemi, che mi ha incuriosito al punto da decidere di andare a trovarlo. Ad accogliermi, una volta raggiunto il nono piano del palazzo, ci ha pensato uno skyline spettacolare sulla Città Eterna. Cosa ho scoperto di lui che ancora non sapevo? Che non è avvezzo alle interviste. Eppure, durante la nostra lunga chiacchierata, abbiamo toccato anche la sfera personale, oltre a quella professionale. Oggi so del suo legame con la natura, della sua passione per lo sport e per il climbing in Bavaria. Cosa mi sento di dire dopo averlo conosciuto? Che dietro a questo fare così severo si nascondono umiltà, curiosità e accoglienza. Perché, come lui stesso mi ha confessato, “non devi sentirti mai arrivato, perché c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare e da raccontare”.

Una cucina nata per soddisfare mente, corpo e spirito

Heinzbeck non ha mai seguito le mode, perché le ha sempre considerate come passeggere. Ha piuttosto cercato un modello di riferimento cui ispirarsi, ritrovandolo nella medicina olistica, un approccio alla salute e alla cura che considera l’individuo come un insieme di corpo, mente e spirito. “Già più di 20 anni fa ho iniziato a interrogarmi su quello che mangiamo e l’effetto sul nostro organismo. Ho trovato risposte anche grazie alle collaborazioni con alcuni ricercatori fantastici sempre più indirizzati ai problemi dei nostri tempi e piano piano ho accresciuto la mia conoscenza sulla nutrizione”. La necessità di salvaguardare l’organismo nella sua interezza spinge lo Chef a studiare processi biologici o enzimatici naturali per la trasformazione dei cibi e ad interessarsi sulle nuove tecnologie per la massimizzazione dei sapori. Il risultato? Piatti che oggi hanno come minimo comune denominatore le materie prime e la loro stagionalità. “Dobbiamo aiutarci attraverso la natura a vivere meglio e per farlo abbiamo bisogno di introdurre nella nostra alimentazione frutta e verdure, perché ci aiutano ad avere il giusto apporto nutritivo”. Non stupisce, dunque, appurare che il paniere di Heinz oggi sia sempre più ricco di materie prime spontanee o provenienti da agricoltura biodinamica e rigenerativa. “Pensiamo al pomodoro: oggi è più dolce, domani magari più acido, dopodomani più sapido, una volta è più verde, una volta è più maturo. Ma il risultato alla fine deve essere sempre perfetto”.

L’ispirazione? Una dote innata, non si impara

Per Heinzbeck l’ispirazione è una dote innata, non è un esercizio che s’impara. “Un landscape, un’architettura, un fiore, un sorriso, qualsiasi cosa che ti dà emozione ti può dare l’impulso per creare del nuovo. Ma questi impulsi arrivano anche nei momenti più assurdi, per questo devi avere sempre con te qualcosa per scriverli perché come vengono, vanno”. Ed è a questo punto che inizia il vero lavoro, quello di trasformazione. Pensiamo alla ricetta di 0,01, realizzata con un liofilizzato di pomodoro, carbone vegetale ed erbe spontanee. “Questo piatto rappresenta la natura che si riprende ancora una volta il suo spazio, cominciando a coprire con la vegetazione l’intruso, che è questo San Pietrino abbandonato in mezzo al verde. E anche questo voglio dire con questo piatto: che dobbiamo avere più rispetto per la natura, perché alla fine è lei che vince sempre”. Tante sono le variabili, così come le incognite, che determinano la possibilità di un piatto di aggiudicarsi uno spazio sul menù de La Pergola. “I nostri piatti devono essere gustosi, equilibrati, moderni, creativi e sani, ma il piatto migliore è quello che dobbiamo ancora inventare, perché solo se noi non abbiamo più niente da raccontare vuol dire che è il momento di andare in pensione”.

Metodo, training e controllo

Metodo, training e controllo: sono questi i Must, secondo lo Chef, affinchè ogni giorno il risultato sia perfetto. Un concetto su cui batte con fermezza mentre commenta una purea di pesca appena preparata dal pasticcere del locale. “È dolce, manca un po’ di limone, prima di metterlo nelle forme torna qui per cortesia e fammelo riassaggiare”. Tante sono le ricerche fatte per garantire agli ospiti un’esperienze sempre più totalizzante ed esperienziale. “Quando un cliente viene da noi deve essere appagato da un benessere totale: l’ambiente deve essere accogliente e pulito, ci devono essere i colori giusti e le temperature giuste”. Perché il mestiere di uno Chef non si concretizza solo ed esclusivamente nell’interpretazione di una ricetta, ma anche nella soddisfazione dell’ospite. “Il nostro è un servizio garbato che cerca di intercettare le ansie del cliente prima che diventino un problema”. Ecco perché tra i tratti distintivi dei suoi locali, in Italia e all’estero, lo Chef cita la cura del dettaglio, la pulizia e la professionalità. “Noi siamo lì per gli ospiti, non dobbiamo mai metterci al di sopra, perché sono loro il nostro futuro”.

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