Una stretta di mano decisa. Un sorriso disinvolto. La classica presentazione e poi un flusso di pensieri, parole e considerazioni che mi catapultano nella sua vita privata. La videocamera è ancora spenta. Eppure, di lui ho già scoperto quei dietro le quinte che sto cercando. Come il fatto che quando è a casa non cucina, già tanto se prepara un toast o una piadina. È poi invece al quinto minuto di registrazione che mi chiede di fermarci un attimo. E lo fa con un tono di voce così buffo e divertito che è impossibile mantenere un profilo serioso: “Devo asciugarmi la fronte, sai abbiamo spento le cappe, ma i fuochi sono accesi e la temperatura interna sta salendo”. Qui inizio a capire qualcosa in più su Roberto Cerea, meglio conosciuto come Bobo, ovvero che patisce il caldo dei fornelli. E chissà quante altre volte si trova a combattere la stessa sensazione nella cucina di Da Vittorio, a Brusaporto, Bergamo. Un nome che non richiede grandi presentazioni, perché sono i risultati a parlare da sé: 3 stelle Michelin, marchio d’eccellenza nel mondo della ristorazione e dell’accoglienza, baluardo dell’alta cucina italiana degli ultimi 50 anni. Ma soprattutto: una delle dinastie gastronomiche più importanti del nostro Bel Paese. Aperto dal 1966, oggi è coadiuvato dagli executive chef Enrico e Roberto, insieme agli altri fratelli, impegnati nella gestione delle altre insegne: dal Da Vittorio di St. Moritz al New Wave by Da Vittorio Bistrot di Shanghai fino al Ho Chi Minh in Vietnam. Cambiano i Paesi e i Continenti. Cambia la lingua e cultura. Ma lo stile è sempre targato Cerea. E anche oltreoceano i capisaldi continuano a essere due: i paccheri alla Vittorio e i cannoncini di sfoglia farciti sul momento.
Da Vittorio: una storia lunga quasi 50 anni
Come inizia l’avventura di Bobo con la cucina? Di certo non come una passione, ma come un obbligo. “Negli anni ottanta, invece di andare a giocare all’oratorio, io e i miei fratelli davamo una mano in famiglia e mi ricordo che papà quando vedeva uno ciccio come me diceva: tu vai in cucina perché in sala corri troppo poco”. È proprio dal Signor Vittorio, fondatore del ristorante insieme alla moglie Bruna, che eredita la dedizione per la ristorazione. “Ho fatto la famosa gavetta, iniziando prima a pulire patate e funghi, poi a sfilettare il pesce e man mano il lavoro in cucina è diventato un’abitudine per me, ogni giorno mi insegna qualcosa”. Complice un talento trasmesso di generazione in generazione, i fratelli arrivano a tracciare nuovi percorsi evolutivi, rispettando però le tradizioni culinarie insite nel DNA della famiglia. “In quasi 50 anni di attività la nostra cucina è cambiata nella presentazione e negli abbinamenti, per stare al passo con i tempi, con le mode e con le esigenze della clientela sempre più raffinata, ricordando però quello che ci hanno insegnato i nostri genitori: cioè che il prodotto deve essere sempre al centro delle nostre ricette”. Cosa si aspetta oggi un cliente da Da Vittorio? Di vivere un’esperienza in famiglia. “Con il nostro calore e la nostra accoglienza siamo forse il locale più familiare tra i ristoranti stellati”. Ecco perché Bobo spiega le 3 stelle Michelin come un riconoscimento importante tanto quanto “vedere un cliente con la pancia piena che a fine pranzo o cena va in reception e prenota un tavolo per la prossima volta”.
La storia dei paccheri e del bavaglione “oggi siamo tutti golosi”
Tre varietà di pomodori, di cui uno biologico pugliese, emulsionati con olio ligure d’oliva e aglio, cotti per circa un’ora e mezza, poi frullati e passati in chinois. Il risultato? I paccheri alla Vittorio. Una ricetta “semplicissima” (così la descrive Bobo), nata dopo un viaggio in California, che per tradizione viene mantecata davanti al cliente con parmigiano giovane 16-18 mesi. “Utilizzo dei prodotti, quantità del parmigiano, del sale, del pepe, di un tipo di pomodoro e dell’altro: sono questi equilibri che possono fare veramente la differenza in questa ricetta”. Non a caso lo Chef spiega che “tante volte, quando facciamo il pacchero o io o mio fratello, che siamo due cuochi in cucina da anni, lo facciamo in modo diverso perché magari a me piace un po’ più goloso, mentre a lui un po’ più light”. C’è poi una regola, tassativa: i paccheri alla Vittorio vanno mangiati con il bavaglione “Oggi siamo tutti golosi”. Perché è così che ci sembra di essere di nuovo bambini. “Noi vogliamo far mangiare questa pasta semplice al pomodoro e far tornare i nostri ospiti al momento dell’infanzia, quando per darti da mangiare ti mettevano questa bavaglia con cui ci potevi veramente giocare, sporcare, pucciare il pane”.
Per fare un grande piatto serve…
Dedizione per la cucina. Passione per la cucina. Sacrificio per la cucina. Ma anche prodotti di qualità e tenacia nel provare a cimentarsi in una nuova ricetta. Perché non è detto che la prima volta esca “WOW”. È questo che serve, secondo Bobo, per la buona riuscita di un piatto. “Oggi i ragazzi hanno della cucina un’idea distorta dettata dai canoni della televisione, ma in realtà essere uno Chef non significa soltanto fare un piatto, è molto di più: sono tanti lavori messi insieme, tra cui naturalmente fare la ricetta giusta per far tornare il cliente nel tuo ristorante”. E poi bisogna ricordare che ogni piatto ha una sua identità, una sua storia. “Non c’è un ingrediente che accomuna i nostri piatti, perché ognuno ha un suo prodotto che fa la differenza: a volte il burro, altre le zeste d’arancio, l’olio del Garda o semplicemente il parmigiano”. Come spiegare il successo di Da Vittorio? Semplicemente nella valorizzazione delle materie prime di qualità assoluta, tecnica solidissima, estro contemporaneo e un’innata curiosità.